Annie Charlotte Andersen

Fantastic beasts and where to find them GdR

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    Annie Charlotte Andersen
    Ogni secolo ha la sua epoca medievale.
    nome Annie - Anna deriva nome ebraico “Channah” (favore, grazia) e il suo significato viene talvolta interpretato anche come “graziosa”.
    Charlotte - Variante dell'italiano Carlotta, il nome nasce come diminutivo di Charles e deriva a sua volta dalla radice germanica carl o karl ("maschio", "uomo libero").
    cognome Andersen - Cognome che discenderebbe dalla stirpe dello scrittore danese Hans Christian Andersen
    luogo e data di nascita Copenaghen - Tranquilla e silenziosa in certi momenti, vivace e incontenibile in altri. Una città armoniosa e ordinata.
    08.03.1915 - Charlotte ha avuto la fortuna, secondo suo nonno, di nascere nel periodo più freddo dell'anno, durante una bufera di neve. A casa Andersen nonni e madre, ma anche l'ostetrica, erano in fermento per l'arrivo della primogenita.
    specie e stato di sangue Strega mezzosangue
    scuola di magia e casata Studentessa nella Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts, smistata nella casa dei Grifondoro
    bacchetta 9 pollici e 1/3, legno di Agrifoglio, sibilante, nucleo in Vibrissa di Kneazle
    patronus Gatto selvatico
    Ho ricevuto una freccia. Chi l'ha scoccata?
    Charlotte nasce a Copenaghen da mamma strega e da "papà" babbano: entrambi i genitori sono nati in Italia. La madre si trasferisce in Danimarca, per cause di forza maggiore, insieme agli altri membri della famiglia, terra natia del padre (nonno materno di Charlotte). Una domanda la famiglia Andersen si pone: «la nostra stirpe discende dal famoso scrittore Hans Christian Andersen oppure è solo una coincidenza?» Il dubbio rimane visto che non si hanno risposte attendibili.
    Charlotte nasce in una fredda giornata in cui si respirava aria di neve, l'otto marzo del 1915 a Copenaghen. La madre a quei tempi aveva 24 anni e non era ancora sposata: sarebbe stato un vero scandalo dichiarare di aspettare un bambino fuori dal matrimonio. - Era di per sé uno scandalo non essere già sposata, per alcune aveva di gran lunga superato la cosiddetta età da marito! - Per il bene del nascituro, l'intera famiglia si trasferì in una villa in campagna lontana da occhi indiscreti e per l'appunto soltanto sua madre Ilde decide di riconoscerla.
    E il "padre"? Disse che non aveva nessuna intenzione di sposarsi, era spaventato all'idea di diventare padre e di prendersi una responsabilità cosi grande. Minacciò la famiglia di lei dicendo loro di non farsi né vedere né sentire, anzi offrì loro del denaro così da non far parte della vita di Charlotte. - Ovviamente rifiutarono! Misero in piedi però la storia della vedovanza: vedova di un militare morto in guerra! - Nonostante la mancanza di una figura maschile che le facesse da padre, passò però una bellissima infanzia, circondata da tantissimi amici che le volevano bene e una famiglia che non le faceva mancare nulla. Compiuti i sei anni e con l'inizio della scuola l'intera famiglia decise di spostarsi nuovamente, stavolta nel centro città prendendo una casa con un grande giardino.
    Charlotte sembrava una bambina timida e riservata, un po' lo è ancora, però quando prende confidenza diventa solare e amichevole. Aveva bisogno di quella spinta in più per sentirsi a suo agio. Imparò a farsi rispettare durante i suoi dieci anni: uno dei suo compagni, Ivan, faceva il prepotente con una bambina di nome Livia soltanto perchè portava gli occhiali. Charlotte si avvicinò e gli tirò le orecchie da fargli leggermente male. «Se non la smetti ti faccio ancora più male!» - gli disse con tono arrabbiato. Ogni volta che quel bambino provava ad avvicinarsi Charlotte lo fulminava con lo sguardo. Da quel giorno lei e Livia non si sono più separate.
    Perse definitivamente le staffe quando, un giorno d'estate, giocando in giardino con le amichette di classe, Ivan prese di mira loro e le adorate bambole, ormai ridotte in mille pezzi. Non solo Charlotte scoppiò a piangere, ma lo rincorse a pugni chiusi gridandogli perchè lo aveva fatto e perchè era cosi cattivo. Il respiro diventava sempre più affannato, le pupille dilatate e i pugni più stretti. Non tirava un filo vento fino a quel momento. Da leggero, il venticello che accarezzava la pelle divenne più forte da creare un uragano. Ivan si spaventò e corse in via, le altre scapparono dentro casa di Charlotte e lei rimase fuori a guardarsi intorno finché la madre non la prese per portarla dentro.
    Ilde capì che era arrivato il momento di dirle cosa sarebbe successo in seguito, dove sarebbe andata se la famosa lettera fosse arrivata. La mattina seguente Charlotte notò una civetta avvicinarsi allo zerbino della porta, posare la lettera e correre via sul tetto della casa vicina. Charlotte iniziò a urlare e a saltare sul letto, la madre sbuca da chissà dove spaventata chiedendo spiegazioni. - «Figliola, ma che modi sono questi? Ti sembra un modo educato per una signorina?» - Quando capisce di cosa si tratta si commuove e corre ad abbracciare la figlia!
    Nel frattempo da qualche parte in linea d'aria con in mano un binocolo, una figura sconosciuta. Il padre di Charlotte si presuppone, forse pentito del gesto di tanti anni fa? Cosa succederà: prenderà il battente della porta tra le mani per poi farsi annunciare o andrà via senza affrontare la figlia?
    Durante i primi tre anni, nonostante le regole severe della scuola, Charlotte non perde occasione di combinare guai e di uscirne a modo suo illesa. I voti sono nella media, si impegna, ma è ovvio che i professori pretendono il meglio.
    aspetto fisico Charlotte è alta 1.63 e pesa 55kg, non si definisce né bassa né alta, una via di mezzo: è il bicchiere mezzo pieno. Ha la carnagione pallida da bambola di porcellana, i capelli lunghi, ondulati e biondi che tiene spesso legati; verde è il colore dei suoi occhi. Il suo sorriso carino la rende diversa dagli altri, il mento rende il suo viso a punta!
    aspetto psicologico Charlotte è una ragazza dal carattere combattivo, testardo, allegro e solare, la sua risata contagia tutti. A volte la timidezza e la sua sensibilità le impediscono di dimostrarlo e si imbarazza se si trova al centro dell'attenzione, come quando le tocca risponde durante le lezioni. Più che parlare, le piace ascoltare: è una cosa che le riesce bene e si fa in quattro se qualcuno è in difficoltà. Può essere estroversa, dolce e gentile con le persone che le piacciono a pelle e introversa, impulsiva e prevenuta con con coloro che preferisce evitare. Sembra buona e tranquilla, ma si innervosisce facilmente e quando vuole sa farsi rispettare. Ama il rischio e mettersi nei guai non rispettando le regole della scuola, ama le lunghe passeggiate che le permettono di stare da sola con se stessa.
    Charlotte è una ragazza che ama leggere non solo perché lo trova istruttivo ed educativo, ma perché le piace immedesimarsi nei personaggi e vivere tante storie, le piace frequentare molte vite. Ama la musica, il balletto e le commedie. Charlotte pensa che ogni persona su questa terra abbia un difetto, così come ogni essere umano ha qualcosa che non sopporta di vedere negli altri. Lei non sopporta le persone arroganti e presuntuose.
    curiosità01. Charlotte è solita portare tubini dai colori neutri, ultimamente le piace indossare il colore rosa antico o cipria. Il cappellino color cammello chiaro è abbinato al cappotto e alle scarpe con lo scollo arrotondato, il cinturino e il tacco medio. La collana di perle non può mancare!
    I pantaloni, entrati da poco nella moda inglese, e non solo, sono comodi da indossare le giornate scolastiche tra le lezioni e le ore di studio.
    02. Cosa più importante, le piace colorare! A modo suo si definisce un'artista: ha sviluppato, nel mondo dei babbani, la passione per la pittura: le piace dipingere paesaggi, tramonti o i suoi compagni quando si mettono in posa e non. Per avere una buona mira e non sbagliare iniziò a prendere lezioni di tiro con l'arco. Le piace il suono che fanno le frecce quando schioccano. E' il suo modo alternativo di scaricare la tensione, per sfogarsi quando è nervosa o irritata! E per non farsi mancare nulla: andare a cavallo, sentire il vento sulla faccia, la rende una persona felice e libera. Cosa penseranno gli altri di lei all'interno della scuola?

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    Copenaghen non è solo la città delle favole, è anche la città delle leggende che narrano di fate, folletti, orchi e gnomi, ma in realtà la popolazione non sa che queste creature esistono davvero e che nella loro casa si nascondono molto bene, mentre nel mondo magico sono liberi di farsi vedere.
    La Danimarca in generale è un concentrato di piccole eleganti boutique, negozi di artigianato, grandi pasticcerie alla moda: molto affollata e animata. Per chi lo sa è sufficiente soffermarsi per scoprire che insolite botteghe, deliziosi ristorantini, bei palazzi liberty e neoclassici, cortili e passaggi nascosti sono gestiti da maghi e streghe. La statua della sirenetta, lontana da occhi babbani, è in grado di muoversi e di vagare libera nelle acque del Mar Baltico! Quando Annie la vide, prima di tuffarsi, le fece l'occhiolino!
    Ci troviamo a Nyhavn, pittoresco canale al centro della città, porto nuovo dalle antiche atmosfere e sede della casa di famiglia. Una casa colorata la loro, color ocra, di quattro piani divisa tra gli zii e famiglia, Annie e sua madre, i nonni e come diceva prima, da gnomi domestici! Oh i fantasmi, non dimentichiamo i fantasmi, invisibili agli occhi dei babbani, molto spesso educati e propensi al dialogo, altre volte rumorosi e dispettosi! Siamo in estate, le temperature sono più elevate del solito, Annie e la sua amica Livia decisero di fare una passeggiata lungo il paesaggio colorato per poi sedersi e gustare qualche pasticcino tra chiacchiere e risate. Calò il silenzio da parte della ragazza dai capelli biondi per un brivido sulla schiena. Le orecchie si cocentrarono sulle parole della storia che un'anziana signora aveva iniziato a raccontare ai propri nipoti.
    «C’era una volta un faro bianco, costruito là dove comanda il vento. Come una sentinella, dall’alto della sua scogliera, teneva a bada il mare del Nord. Sul mare del Nord...» - continuò a raccontare la signora - «...c’è una distesa di dune color miele dove sorge un faro abbandonato dagli anni del 1860. Ancora pochi anni e la sabbia lo inghiottirà per sempre. Nel 1868 il custode spense la lanterna e se ne andò, così il faro di Rubjerg Knude venne abbandonato al proprio destino. Il faro è ancora ostinatamente al proprio posto, col mare che continua a consumare la costa al ritmo di un metro e mezzo l’anno.» I fari sono fra le costruzioni che esercitano maggiore fascino, non solo per i luoghi in cui sono collocati, molto spesso solitari ed impervi, ma anche per la simbologia a cui sono legati, quella di portare luce e chiarezza a coloro che sono in difficoltà e per la funzione, quella di indicare il giusto tragitto ai naviganti. La domanda più importante da porsi è: cosa si nasconde al sup interno?
    «Come fa il faro a resistere alle onde quando tutto intorno ad esso scompare?» Fu un pensiero ad alta voce che ebbe come risposta spallucce da parte di Livia, da parte di Annie solo silenzio e da parte di una voce sconosciuta, invece, qualcosa che attirò la sua attenzione. «I fari nascondono segreti che non possono essere svelati. Non tutto è come sembra, ci sono cose che loro non possono sapere!» Con "loro" capì che si riferiva ai non maghi, Livia non badó a quelle parole o meglio, pensava stesse solo farneticando. In ogni caso se lo chiese, per um secondo, chi era quell'uomo dai capelli rossi e come riuscì a sentire le sue parole? E se ci fosse qualcosa di vero e solo lei non lo sapeva o non lo aveva capito? Se qualcosa dovesse saltare fuori cosa potrebbe succedere? Scoppierebbe il caos!
     
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    Una volta superato il limite magico, il faro di Rubjerg Knude si manifestò agli occhi del mago di capelli rossi in tutta la sua brulicante e insospettabile forma, linguaggi indaffarati di varia cadenza pulsarono nelle sue orecchie ed il mare sembrava esser retrocesso di uno o due centinaia di metri rispetto alle fondamenta di pietra, in una forma globosa irregolare, come se una barriera tondeggiante limitasse la sua avanzata giusto giusto per evitare che venisse sommersa la costruzione. Un sentiero di maghi e streghe, vestiti in sgargianti e differenti colori, aveva descritto un solco di impronte sulla sabbia grigia, oltre al quale si osservava un uomo con una gamba di legno dal piedino intagliato che richiamava la zampa di un elefante appoggiato ad un cancelletto aperto. La cosa davvero strana era che ai lati del cancello non vi era alcuna recinzione: il ferro battuto si poneva trasversalmente al sentiero, ma non andava al di là dei lati del sentiero stesso - a cosa servisse una porta senza il contenente, Wolfgang non avrebbe saputo dirlo. Si avvicinò all’uomo senza una gamba e lo salutò cordialmente, con un sorriso che era sempre, anche quando non possedeva alcun intento di furbizia, un poco obliquo tra la sua barba incolta. Lucas, il guardiano, si fermò a scambiare con lui qualche veloce parola sul tempo - sempre più pazzo, ogni anno che passava! - e sul campionato nazionale di quidditch, a cui Wolfgang rispose con un’espressione interessata e da intenditore, buttando lì una o due tipiche parole di circostanza - sua sorella, Anja, sarebbe scoppiata a ridere ben sapendo quanto poco se ne intendesse di quidditch, in realtà, il gemello.
    Una volta salutato Lucas, superò il cancello aperto e si avvicinò al faro. A differenza di quel che si vedeva dalla distanza, la costruzione non era disabitata e possedeva diverse porte, quattro, per la precisione, poste attorno al muro circolare e orientate verso i punti cardinali. Da queste porte, entrava ed usciva un numero impressionante di maghi, intento a tornare alla propria dimora grazie all’uso di un diramato ed efficiente sistema di metropolvere presente all’interno. Coloro che arrivavano raggiungevano il cancelletto e salutavano Lucas, il guardiano - di cui tutti sembravano conoscere il nome, ma non il cognome e, superata la porta aperta, compivano solo qualche altro passo sulla sabbia prima di smaterializzarsi. Nessuno, se non pochi, varcavano a piedi il confine magico - del resto osservare un così intenso ricambio di persone in prossimità di una struttura abbandonata e destinata all’annegamento avrebbe attirato troppo l’attenzione.
    Tra i diversi percorsi, sorgevano dei venditori ambulanti di articoli magici e dolciumi. Alcuni lasciavano molto a desiderare, e attiravano probabilmente solo i viaggiatori più giovani ed inesperti che, attirati dalla novità del posto, finivano sempre per sganciare qualche falce di troppo, altri, invece, nonostante la posizione precaria dell’esercizio, riservavano merci interessanti e non sempre così facili da reperire. L’angolo del mescitore, che angolo non era, se mai tavolino traballante la cui risacca lambiva le stesse gambe di legno rovinato, era uno di questi. Tra alghe “marinate” e conchiglie marroncine, Wolfgang aveva trovato ingredienti curiosi per le sue pozioni, ed è lì che si sarebbe diretto se un fischio rude di Lucas non lo avesse riportato indietro. «Qualcuno ti ha seguito, Signor Schwarzwald?!» Commentò, laconico.
    Il professore di Durmstrang girò su se stesso osservando il sentiero di sabbia e scorse la giovane bambina di poco prima. Una luce di meraviglia passò nei suoi occhi chiari. «Dunque è una giovane strega!» Pensò, divertito. La bambina aveva chiari capelli color biondo bruciato, con sfumature simili al miele di acacia e occhi scuri, curiosi, sul viso niveo. A Wolfgang sembrò che fosse prima di tutto meravigliata da ciò che stava vedendo - per la prima volta nella sua vita, probabilmente -, ma temette potesse sentirsi anche spaesata dalla moltitudine di persone che da un momento all’altro la circondavano. «Forse non avrei dovuto fare quello scherzo.» Non poteva lasciare che, in mezzo alla gincana, nessuno considerasse una strega così piccola, soprattutto dopo averla attirata lui in quel posto - se si fosse persa? Se avesse trovato qualche mal intenzionato? Ovviamente era come se fosse Anja a parlargli nella testa, gli sembrava quasi che fosse lì, la gemella, a scuotere il capo per riprenderlo della sua “trovata geniale”.
    È evidente che Wolfgang non sapesse di avere davanti una grifondoro, una studentessa che, nonostante la giovane età, aveva del coraggio e del senso di avventura da vendere. Lui vide solo una ragazzina in un posto nuovo, che necessitava di essere spiegato e che poteva finire in luoghi sbagliati se nessuno vi prestava attenzione. Allora, dato che era sì avventuriero, sì inventore, sì imprevedibile, ma anche insegnante, le si avvicinò come Rubeus Hagrid si sarebbe avvicinato ad uno smarrito undicenne di nome Harry Potter - ma ovviamente lui era più affascinante e meno sempliciotto.
     
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    Un brivido di freddo lungo la schiena le diede la sensazione che qualcosa stesse per accadere. Sarebbe stato qualcosa di bello, misterioso e adatto alla portata della ragazza pronta a mettersi nei guai. Aspettava solo l'occasione giusta. Anzi, fu come se ci fosse nei paraggi un mago o una strega. Se lo sentiva, e il suo istinto difficilmente sbaglia. «Ah già, è vero! Non sono l'unica qui a Copenaghen, ma nessuno sa chi è chi!» Quella sensazione penetrava nelle vene la portò ad osservare quell'uomo dai capelli rossi rame, dal sorriso furbo per tutto il tragitto da lui percorso. Si chiese se stesse forse ascoltando e commentando la storia? «Perché non viene qui a dire la sua se ha qualcosa da controbattere?» Si alzò di scatto dalla sedia e ondeggiando il braccio sperò che la notasse, ma non fece in tempo a dirgli . . .«Mi scusi, signore?! Può. . .venire. . .un secondo. . .qui?» Poof, scomparve! Livia, stranita, chiese cosa stesse facendo, cosa avesse visto e perché le avesse fatto prendere un colpo. Per il resto? La signora la guardò con fare di dissenso, mentre i due pargoli la fissarono restando a bocca aperta. «Quando sarete grandi, capirete!» Attirò l'attenzione del vicinato, le sue guance erano più rosse del dovuto e i pettegolezzi sulle sue stranezze potevano avere inizio.
    Non aveva tempo di preoccuparsi, doveva correre. Si congedò da Livia nel peggiore dei modi dicendole che il giorno seguente le avrebbe spiegato la fretta. «Il faro mi aspetta. . .» le disse. «Amica mia, stai delirando! Hai per caso i sintomi del malessere?» le rispose. «No no, sto benissimo! Fammi un favore, va a casa e domani ti racconterò!» Lasciò un paio di monetine sul tavolo per pagare l'ordinazione, prese dai lati il vestito per evitare di inciampare e volò, come solo sei sa fare. Doveva pur scoprire cosa si nascondesse dietro quel «poof»! Una volta superato il limite magico, il faro di Rubjerg Knude si manifestò in tutta la sua brulicante e insospettabile forma. Un brusio intenso. Un via vai di persone. Maghi e streghe che si materializzavano e smaterializzavano, salivano e scendevano: vestiti in sgargianti e differenti colori le riempirono lo sguardo, linguaggi indaffarati di varia cadenza pulsarono nelle sue orecchie ed il mare sembrava esser rimasto indietro di uno o due centinaia di metri rispetto alle pietre che lo componevano. Come potesse non conoscere le meraviglie del faro, non se lo poteva spiegare. Fu travolta da un'onda improvvisa di domande tanto da restare a bocca aperta. «Chi l'avrebbe mai detto?» Disse con tono pacato, lasciando cadere il vestito, con un colpo sulla fronte e la rabbia negli occhi. «Come ho fatto a non arrivarci? Che stupida che sono!» Un respiro profondo e il secondo passo da fare era cercare l'uomo che l'aveva attirata in quella meraviglia.
    La strega girò su se stessa osservando il sentiero di sabbia e scorse l'uomo misterioso in compagnia di una altro con una gamba di legno dal piedino intagliato che richiamava la zampa di un elefante: Lucas, il guardiano - così lo sentì chiamare - di cui tutti sembravano conoscere il nome, ma non il cognome. «Benvenuta al Faro di Rubjerg Knude, signorina» - disse, sbucandole alle spalle e facendola sussultare. Chinò di lato il capo in un fluido gesto elegante - «Chiedo scusa per l’innocuo scherzo, avrei dovuto capire che c’era del magico in te. Mi chiamo Wolfgang Schwarzwald, professore di Durmstrang, e sono felice di conoscere una strega così intraprendente.» Li guardò entrambi dalla testa ai piedi, ma con fare regale si presentò. «Charlotte Andersen, professore» Non sapendo pronunciare il cognome più che complicato si limitò alla sola carica. Proseguì con fierezza nominando la sua casata. «Studentessa ad Hogwarts, Grifondoro. Lieta di conoscerla!» Allungò la mano per ricevere una stretta, sperando non nel solito gesto di galanteria e così fu. Batté le mani euforica e senza pensarci due volte, ma soprattutto senza pesare se il professore fosse li per un suo motivo personale, gli chiese se potesse farle da guida e raccontarle di più sul faro e sui misteri che lo circondano. «Se non fosse stato per il suo scherzo non sarei qui, quindi la ringrazio! Non mi sarei mai aspettata una cosa del genere, anzi non ci sarei arrivata se non ci fosse stato lei, professor Schwarzwald.» Questa volta, volle pronunciarlo ad alta voce. Un tentativo riuscito dopo le prove interiori. «È la prima volta che vedo il faro al suo interno, devo approfittarne . . .anche se non ho tutto il giorno!» Ci fu un momento si pausa. I due parlarono scambiandosi uno sguardo per poi riportare sulla ragazza e lei, per non sembrare troppo altezzosa, abbozzò un sorriso. «Allora professore, da dove iniziamo?» Sembrava di essere in una piccola città composta da Diagon Alley e Hogsmeade. Tutti i negozi e altro erano tutti messi lì, nel faro.
     
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